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Il Rabarbaro
Il rabarbaro è una pianta appartenente alla famiglia delle Polygonaceae e, più precisamente, al genere Rheum, che comprende una sessantina di specie il cui areale di distribuzione originario si estende in Europa ed Asia. Il termine rabarbaro significa “radice barbara”, e si riferisce alle origini della pianta che proveniva da zone lontane dall’Europa: la pianura del Volga e, oltre, l’estremo oriente.
Il rabarbaro è una pianta erbacea perenne caratterizzata dalla presenza di una radice carnosa, ovvero un rizoma, particolarmente robusto e che può raggiungere anche grosse dimensioni. All’inizio di ogni stagione vegetativa dal rizoma si dipartono nuovi fusti, che possono raggiungere altezze anche superiori ai due metri. Sui fusti ed alla base della pianta sono portate foglie di grandi dimensioni, che inferiormente si dispongono a formare una rosetta basale; queste foglie presentano una forma grossomodo triangolare, e sono dotate di un lungo picciolo molto carnoso.
I fiori del rabarbaro sono bisessuali, ovvero comprendono sia gli organi maschili che femminili, e sono riuniti in infiorescenze dalla forma simile ad una piccola pannocchia. Le infiorescenze sono di grandi dimensioni, e possono essere lunghe anche qualche decina di centimetri. Ciascun fiore ha una forma raggiata, e a seconda della specie il colore va dal bianco verdastro al rosato.
Dalle infiorescenze si formano i frutti, che hanno una forma molto particolare: si tratta infatti di noci trigone, ovvero che presentano tre margini spigolosi che si prolungano in un un’ala di consistenza membranosa. In genere durante la coltivazione del rabarbaro i fiori vengono asportati, poiché sia la fioritura che la fruttificazione della pianta sottraggono energie andando perciò a penalizzare l’ingrossamento dell’apparato radicale che, di questa pianta, è l’organo più sfruttato dal punto di vista commerciale.
Da sempre il rabarbaro ha accompagnato la storia dell’uomo, ed in particolar modo delle popolazioni dell’estremo oriente. Sembra infatti che le popolazioni mongole e soprattutto cinesi conoscessero il Rabarbaro cinese (Rheum palmatum) già a partire dal 2700 a.C., e che lo utilizzassero sia come alimento tradizionale che per scopi medicinali.
Lungo le rive del fiume Volga cresce invece un’altra specie di rabarbaro, conosciuta come Rabarbaro russo o siberiano, (Rheum rhaponticum) e farmacologicamente meno “potente” del suo omologo cinese; in epoca medievale, il Europa il rabarbaro era un prodotto estremamente costoso poiché doveva essere trasportato da terre lontane. Il suo prezzo poteva essere addirittura molto maggiore di quello di pregiate spezie come lo zafferano, la cannella o l’oppio!
In Europa l’utilizzo del Rabarbaro cinese è invece una “conquista” più recente che deriva dall’espansione coloniale in Asia di diverse nazioni europee, ed in particolar modo dell’Impero britannico: in questo modo la cultura anglosassone scoprì la vasta gamma di usi di questa pianta. Nei primi decenni del diciannovesimo secolo il rabarbaro approdò in America settentrionale, spostandosi progressivamente verso le coste dell’oceano Pacifico e colonizzando in breve l’intero continente.
Utilizzi medicinali del Rabarbaro
Il rabarbaro è una pianta molto apprezzata nell’ambito della medicina tradizionale e dell’erboristeria, che sfrutta le proprietà del rizoma (la radice carnosa). Da questo punto di vista il Rabarbaro cinese (Rheum palmatum) è la specie più ampiamente utilizzata, anche se ogni specie appartenente genere Rheum presenta sostanzialmente le stesse proprietà; possono esserci, tuttavia, differenze anche significative fra una specie e l’altra per quanto riguarda la concentrazione dei principi metabolicamente attivi.
Gli stessi principi attivi contenuti nel rizoma di rabarbaro vengono sfruttati anche dall’industria farmaceutica per la produzione di diversi tipi di farmaci.
A scopi medicinali si prediligono le radici di rabarbaro che hanno superato un anno di età; in autunno queste vengono estratte dal terreno, private della scorza esterna, tagliate ed infine essiccate. Il rizoma di rabarbaro essiccato può essere commercializzato sia in frammenti di forma cilindrica che in dischi sottili, o ancora sotto forma di polvere. In commercio si possono trovare anche decotti, tisane, estratti idroalcolici, gocce, compresse.
Nel rabarbaro sono contenuti diversi principi attivi principali e secondari, rappresentati da:
- Derivati idrossiantrenici (3-12%): glicosidi antrachinonici (reina, emodina, aloemodina) e glicosidi diantronici;
- Tannini (5-10%);
- Flavonoidi
Fra le proprietà officinali più importanti del rabarbaro senza dubbio vi è quella di regolatore delle funzioni digestive: si tratta infatti di un prodotto aperitivo, stomachico, depurativo a livello epatico e blandamente lassativo. Assunto in dosi limitate, il rizoma di questa pianta è infatti in grado di stimolare la secrezione degli enzimi digestivi dello stomaco e della bile, nonché di stimolare la peristalsi intestinale e combattere la stitichezza. Il rabarbaro viene anche consigliato come terapia in caso di infezioni intestinali, poiché i tannini svolgono una preziosa azione decongestionante nei confronti delle irritazioni della mucosa.
L’utilizzo di rabarbaro in dosi più elevate si consiglia in caso di costipazione, poiché l’effetto lassativo è particolarmente efficace; è necessario prestare particolare attenzione ad evitare il sovradosaggio che può comportare effetti collaterali anche seri (vedi paragrafo dedicato).
Un’altra specie frequentemente impiegata è la Rheum officinale, originaria dell’Asia; questa viene utilizzata per dissolvere coaguli ematici e ammassi purulenti, ma secondo una recente ricerca medica sembra che i principi attivi contenuti in questa pianta possano essere utili nella terapia contro l’epatite B.
Il rabarbaro contiene elevate quantità di tannini, sostanze che si fanno apprezzare soprattutto per l’uso cutaneo come astringenti della pelle. Questi stessi principi attivi secondari rendono il rabarbaro un ottimo prodotto per effettuare risciacqui e gargarismi del cavo orale, nei confronti del quale svolge anche un’azione antisettica ed antibatterica. Il rabarbaro viene anche impiegato per il trattamento di afte, ustioni, ferite e piaghe di varia natura.
Altri utilizzi del Rabarbaro
Il rabarbaro è apprezzato anche in campo alimentare, e della pianta si utilizzano le coste (i piccioli carnosi delle foglie) che vengono impiegate per la preparazione di torte salate, insalate oppure si consumano lessate. Le foglie della pianta, invece, vengono talvolta utilizzate come surrogato degli spinaci anche se l’elevato tenore di acido ossalico ne sconsiglia fortemente l’impiego in cucina a causa della loro tossicità.
In genere le coste e le foglie si raccolgono a partire dal secondo anno vegetativo della pianta (consentendo in questo modo al rabarbaro di accrescersi durante il primo anno di vita), ed il periodo migliore è quello compreso fra aprile e giugno.
Secondo la tradizione anglosassone, il rabarbaro può essere fatto essiccare ed infuso nel succo di frutta, come ad esempio quello di fragola. L’abbinamento con questo frutto è particolarmente gradevole, e una tipica ricetta è la torta di rabarbaro e fragole; molto apprezzato è anche l’abbinamento con cannella, noce moscata, lime ed agrumi. Dal rabarbaro si ottengono anche eccellenti marmellate preparate con mele, fragole, albicocche, prugne o zenzero, mentre sono popolari anche le caramelle ed altri dolciumi al rabarbaro.
In alcune parti del mondo come i paesi del nord Europa, uno snack di tradizione popolare ancora molto apprezzato (soprattutto dai bambini) è il tenero gambo di rabarbaro candito.
Il rabarbaro viene anche impiegato dall’industria dei liquori come ingrediente caratteristico per la produzione di aperitivi ed amari digestivi, sia in purezza che mescolato con altre erbe. Il sapore gradevole del rabarbaro infatti permette di stemperare l’amaro tipico delle erbe digestive, contribuendo quindi a migliorare il sapore e l’aroma complessivo dei liquori.
La radice del rabarbaro veniva anche utilizzata per produrre una tintura di color marrone intenso alternativa a quella ottenuta comunemente dai gusci di noce. Questa proprietà era sfruttata soprattutto nelle regioni dal clima più freddo, dove non poteva avvenire la coltivazione di alberi di noce.
Precauzioni d’uso, effetti collaterali ed interazioni con farmaci
Il rabarbaro è una sostanza che alle dosi consigliate è da considerarsi sicura: è bene comunque prestare attenzione al suo utilizzo, che deve attenersi alle prescrizioni e non deve prolungarsi nel tempo. Il sovradosaggio di principi attivi contenuti nel rabarbaro può determinare l’irritazione delle pareti dell’intestino, con un effetto purgativo dannoso che può anche generare interferenze nei confronti di diverse funzioni digestive, circolatorie ed escretive.
L’eccessiva perdita di minerali dovuta a questo effetto purgativo può tradursi in una carenza di elettroliti, come ad esempio il potassio; la stessa carenza può inoltre manifestarsi in seguito all’assunzione di rabarbaro contemporaneamente a diuretici tiazidici, glicosidi cardiaci, farmaci antiaritmici o corticosteroidi. L’assunzione prolungata e continuativa di rabarbaro come lassativo può, a lungo andare, innescare l’effetto opposto: costipazione cronica ed ostinata, e danni alla mucosa intestinale.
L’utilizzo del rabarbaro è sconsigliato alle donne in stato di gravidanza o allattamento, ed in quest’ultimo caso in particolare perché i composti antrachinonici possono passare nel latte conferendogli un sapore amaro e sgradevole. Il consumo è sconsigliato anche ai bambini di età inferiore a due anni ed alle persone che soffrono di patologie gastrointestinali croniche (coliti, ulcere…) nonché calcoli renali, appendicite, morbo di Crohn, emorroidi, uretrite, fibromi uterini, dismenorrea e prostatite.
In caso di acquisto di un farmaco contenente rabarbaro si consiglia di leggere con attenzione il foglietto illustrativo e di chiedere consiglio al proprio medico o farmacista riguardo alle dosi da impiegare ed alle possibili interazioni con eventuali terapie farmacologiche in corso.
In ambito alimentare il consumo delle coste delle foglie di rabarbaro è da considerarsi sicuro, mentre da evitare sono le foglie stesse che presentano contenuti molto elevati di acido ossalico, tossico per l’organismo.
In seguito al consumo di foglie di rabarbaro sono stati segnalati casi di
- bruciore al cavo orale ed all’esofago
- nausea
- vomito
- senso di spossatezza
- altri sintomi generici di avvelenamento
in persone particolarmente sensibili o debilitate, sono anche stati segnalati decessi.